mercoledì 9 gennaio 2019

Buon Compleanno My Princess on the Pea!

Dopo così tanto tempo torno finalmente a scrivere perchè oggi è una giornata troppo importante per non condividerne la gioia, lo stupore, il tremore, il mistero che la accompagnano: buon compleanno principessa del mio cuore!

La chiamata così ardentemente attesa e desiderata è arrivata improvvisa, il 4 gennaio. O meglio, l'8 gennaio, alle 11:00 di sera, di ritorno, esausti, da Los Angeles. Eravamo ancora in aeroporto.

"She is in labor - if I were you, I would drive back now."

E così, dopo una doccia veloce e due vestiti buttati in valigia, abbiamo preso la macchina e ci siamo di nuovo messi in viaggio, direzione LA, per incontrare nostra figlia. Pioveva a dirotto, proprio come la scorsa notte. Abbiamo guidato in silenzio, un silenzio pieno di attesa, timore e tremore, gioia, lacrime. Avevamo appena incontrato la madre biologica della nostra bimba, che, in condizioni tanto estreme quanto ingiuste, aveva preso la decisione di dare la figlia in adozione, per donarle la vita due volte. E aveva chiesto a noi di accogliere sua figlia come nostra, di amarla e crescerla, e accompagnarla in questo viaggio straordinario della vita custodendo le sue radici e la sua storia.

Ancora scossi da tutti gli avvenimenti del giorno, avevamo ripreso l'aereo per tornare a casa senza aver di fatto ancora deciso, o almeno parlato, di quanto accaduto. Ma la nostra piccola Rebecca sapeva che non c'era bisogno di decidere, o parlarne. Sapeva che l'avremmo accolta e amata, figlia, dono, mistero. E così ha deciso di nascere il 9 gennaio, alle 2:03 di notte!

Buon compleanno Rebecca, principessa del mio cuore, esplosione di gioia e allegria, sempre "bela viscura" come dicono le zie, piccola busybody, inimmaginabile eppure attesa da sempre, col cuore grande già ferito, che hai donato a mamma e papà una vita nuova, e hai moltiplicato l'amore non solo nella nostra famiglia, ma tutto intorno a noi!

Eternamente grata, e innamorata,

La tua mamma

giovedì 23 novembre 2017

Il tempo che passa...

Latito. Da più di un anno ormai.

Il mio Franci sta bene, cresce. Come diventa grande! Certo, da questa parte del mondo è difficile osservare tutti i passi, i piccoli cambiamenti, le grandi conquiste. Ma questo solo aumenta l'amore - il tempo che passa insegna al cuore a non possedere, a meravigliarsi, e ringraziare.

E proprio oggi è Thanksgiving. Il giorno del ringraziamento.

Questo anno è stato denso di cambiamenti. L'arrivo della carta verde; un nuovo lavoro e, forse, una nuova carriera; nuovi amici vicini - quanto affetto ricevuto; due dolorosi arrivederci, nella certezza che non è la parola fine.

Eppure la chiamata che più ardentemente aspettiamo ancora non arriva. Il cuore brucia nell'attesa. Ma il tempo, in questo caso, sembra essersi fermato.

E la primavera costante in cui viviamo in terra californiana non aiuta.... Come diceva un amico, il pane è buono in California, la frutta fresca... Cosa vuoi di più? Fa pure sempre caldo!

Oggi infatti ho fatto due passi, sudando sette camicie tra l'altro perchè la giornata è primaverile! Non posso proprio lamentarmi. Le strade sono vuote, sono tutti a casa, rientrati da chissà dove, per festaggiare coi propri cari. Ho camminato sola coi miei pensieri, il cielo sopra di me e gli scoiattolini che mi correvano accanto. Mannaggia a loro - forse sono finalmente riuscita a vincere la mia guerra contro la loro brutta abitudine di scavare nei miei vasi (#@%**)! Quando improvvisamente mi sono imbattuta in un letto di foglie gialle e rosse che coprivano l'intero marciapiede. 

L'autunno! Ho finalmente trovato l'autunno! È arrivato, è arrivato davvero! Chissà da quanto. Io me ne sono accorta solo oggi.

Allora il tempo sta passando davvero. 

Prima di trasferirmi in California non ho mai prestato troppa attenzione al passare delle stagioni. Semplicemente accadeva. Ma da quando mi sono trasferita, e ho forse perso un po' di scontatezza, questo passaggio mi riempie sempre di gioia. Testimonia il tempo che passa, il cuore che cambia, le novità che accadono. E dunque arriverà. Sono certa. La chiamata arriverà. Non so quando, e non voglio certo stare con le mani in mano ad aspettare. Al contrario. Voglio continaure a meravigliarmi, e ringraziere. Ma questo autunno trovato tiene viva la fiamma. Arriverà quella chiamata che da sempre aspettiamo!


(Dedicato a Luca, che ci tiene davvero che scriva. Grazie!)



lunedì 18 aprile 2016

Il mio posto al sole (e al cielo)

Un'esplosione di rosa, intenso e lucente. Cosi' e' oggi il mio geranio, gia' protaginista di questo blog, dopo un paio di stagioni 'difficili' - pochi fiorellini, foglioline giallastre, e gambi secchi.

Dopo le farfalline nere, la potatura estrema, e la rinascita, ha continuato a godersi il sole e il cielo azzurro senza alcun pensiero. Quando quasi due anni fa abbiamo traslocato per la prima volta, spostandoci verso sud, si e' accomadato nel baule della nostra Toyota 1999 (!#@?*) e ci ha accompagnati verso il nuovo appartmaneto in affitto. In questa piccola casa, senza giardino al sole, ha trovato posto sotto al portico insieme agli altri fiori, e li' ha continuato a vivere senza darmi alcun pensiero.

Tre mesi fa, quando ci siamo spostati ancora verso sud, e' saltato di nuovo nel baule della Toyota e con noi e' entrato nel nuovo appartamento. Qui c'e un terrazzo esposto al sole, che da sul laghetto interno al complesso, Fra il cielo e l'acqua ha trovato il suo nuovo posto. E nel giro di pochi giorni ha iniziato a fiorire, fiorie, fiorire. Tantissimi fiori rosa, foglie verdi e gambi allugati verso il sole.

Se non avessi visto il mio geranio cambiare sotto al sole, non mi sarei mai accorta di quanto la vita sotto al portico lo avesse trasformato nella peggiore versione di se' (certo non per colpa sua)! Se non avessi visto quanti fiori potessero accogliere i suoi gambi, non mi sarei accorta che sotto al portico non era certo quel che da sempre poteva, desiderava essere. Se non lo avessi visto rinascere, non mi sarei accorta che sotto al portico stava semplicemente sopravvivendo, o forse, morendo.

Questo geranio mi insegna molto della vita, di nuovo. Mi parla della pienezza, del compimento di quello che da sempre si e' stati pensati per essere; mi parla delle stagioni difficili, della sopravvivenza, della bruttura che si diventa quando manca quello di cui si ha bisogno.

Gli sono bastati il sole, il cielo e il rumore dell'acqua.

Qual e' il mio posto al sole, e al cielo?


lunedì 26 gennaio 2015

Nel giorno del mio compleanno (con quasi due mesi di ritardo... argh...)

Quando ero piccola e pensavo al futuro, immaginavo che serei morta giovane, proprio al cambio del millennio, pochi giorni dopo aver celebrato il mio 22esimo compleanno.  Immaginavo che mi sarei lasciata alle spalle una famiglia con tanti bimbi, un lavoro, una casa, gli amici, tanto bene dato e ricevuto. Non c'era nemmeno l'ombra del rimpianto per la partenza da questa terra, o una seppur minima tristezza - questo rende forse l'argomento un po' meno macabro! Avrei avuto una vita breve, ma gloriosa, anche se di quale gloria si trattasse, non ne ero sicura.

Sono passati molti anni ormai, e sto vivendo quel futuro che immaginavo, anche se molto diversamente da quanto previsto. Sono ancora viva e vegeta, ma in compenso non ho figli, non ho un lavoro, non ho una casa mia - siamo in affitto in una casa delle bambole in un piccolo angolo di Silicon Valley decisamente lontano dal glamour del suo centro. Quando arriva il mio compleanno, inevitabilemente arriva anche questo ricordo, e i bilanci ad esso legati. Spesso la bilancia pende dalla parte sbagliata, e qualsiasi tentativo di rimediare sembra non portare da nessuna parte.

Accade a volte però che l'unica evidenza del giorno del compleanno sia un'altra, grazie a Dio: il bene ricevuto, ancor prima che dato. Mi sono così ritrovata sommersa di bene. Del bene degli amici cari di sempre, supper lontani un continente e un oceano; ma anche del bene di amici appena trovati e non più lontani di qualche isolato. Del bene della mia famiglia, che nel frattempo si è moltiplicata: mio marito, la mamma e il papà, un fratello e due nipoti di sangue, e tanti fratelli e sorelle, e un'altra mamma e un altro papà, e tanti altri nipoti, guadagnati gratuitamente e immeritatamente; e le zie, i cugini; la lista continua e continua.

Quest'anno, dunque, questo bene mi ha sopraffato; è arrivato presto la mattina, e si è subito insinuato nei miei occhi, per arrivare al mio cuore, e non permettere al futuro immaginato di diventare l'unica parola sulla giornata, e su di me. Ha vinto, mi ha vinto, pronunciando lui l'ultima parola. Grazie.

venerdì 22 agosto 2014

Perdere la guerra per vincere una battaglia

Questo post risale a circa tre mesi fa. Appena scritto e corretto, tutta felice lo mostro a mio marito - in attesa di essere gratificata e lodata per quanto sia cambiata (in meglio chiaramante!), come scriva bene, quanto lui sia contento di avermi al suo fianco, e tutte quelle parole che una donna si aspetta dal marito - e guai a lui se non le dice tutte! Diciamo invece che la sua reazione mi ha colto impreparata... "Non puoi pubblicarlo," mi dice. "Ma... come?" rispondo io. "Finalmente ho ripreso a scrivere quanto sia brava, e tu non vuoi farmi pubblicare?" aggiungo. "No. Prima devo parlare coi miei capi, sistemare alcune cose. Non puoi pubblicarlo." Fine della discussione. 
Direi che in casa i pantaloni li porta ancora lui. 

Finalmente le cose sono state sistemate, e posso così pubblicare le mie piccole avventure e scoperte - soprattutto per me, perchè rileggendo e guardando questa mia storia possa ogni giorno meravigliarmi di quanto grande sia questa vita. 
Ecco qui dunque.

Sono mesi che non scrivo. Eppure il piccolo Francesco, a cui questo blog è dedicato, è sempre lì, presente nei miei pensieri come nel mio cuore, così come il desiderio di gridargli quanto gli voglio bene da queste righe. Certo sono stata impegnata, cercando di imparare a diventare editrice, con risultati decisamente fallimentari - sembra proprio che la scrittura non sia la mia strada... Eppure bastano pochi minuti per scrivere un post - quando c'è l'idea! Quando non c'è, è assolutamente inutile persino provarci...

Ad un esame più attento del mio processo creativo (e qui mi batto la mano sulla spalla, "Brava Leti, brava! Processo creativo... mica spaghetti e mandolino!"), mi rendo conto che scrivo innanzitutto in situazioni di difficoltà, grandi o piccole che siano. Certo, precesso creativo piuttosto limitato... Tant'è! Non ho avuto idee in questi ultimi mesi fondamentalmente perchè sono stata bene, credo, occupata col lavoro, con gli amici, con la vita. Al punto che, quando la necessità si è fatta presente di tornare in Italia per qualche giorno, mi ha preso un po' il panico. Perchè tornare in Italia è sempre un giostra di emozioni: ho quasi timore di vedere in prima persona quello che cambia, chi cambia, e di scoprire se c'è ancora posto per me nella vita delle persone più care.

Siamo partiti, e come sempre, quello che è successo è stato troppo di più rispetto a quanto immaginato. Pur cambiati, i legami rimangono forti e saldi, la strada comune, e i desideri condivisi. Sono stati giorni pieni, belli. Al punto che non sarei più tornata in America, sarei rimasta a vivere lì - certo gli amici americani mi sarebbero mancati! Ma non si poteva fare... siamo ripartiti. E una volta tornati, abbiamo addirittura deciso di rimanere per qualche altro anno, firmando un nuovo contratto di affitto in attesa di firmare il contratto di lavoro di mio marito.

Credo dunque di aver perso la mia guerra, tacitamente ingaggiata con me stessa e mio marito tempo fa. Ero sicura che a quest'ora saremmo già stati in Italia da tempo, tornati alla vita che conosciamo in patria. Mi sbagliavo. Sicuramente  la decisione è stata sofferta.

Ma proprio perchè ho perso la mia guerra, mi rendo conto che mi alzo la mattina più leggera e libera di combattere la mia battaglia quotidiana per essere felice, per godermi questa vita e le persone che ho accanto, il mio piccolo lavoro e le mie piccole vicende umane. Proprio perchè ho perso la mia guerra, mi rendo conto che non ho più bisogno di calcolare le mie mosse, fare progetti e cercare di seguirli alla lettera, altrimenti finisco dove non ho pianificato. Proprio perchè ho perso la guerra, ho iniziato a vincere la mia battaglia quotidiana con la stessa drammaticità, certo, ma forse con meno paura, di sbagliare, perdere, non riuscirci, rimpiangere. Ecco, più forte.

martedì 4 febbraio 2014

"Una discussione è troppo veloce per i tempi del cuore"

Devo sinceramente ammettere di non aver mai creduto che gli uomini fossero capaci di riflettere in profondità su emozioni e sentimenti, specialmente quando si tratta di problemi di cuore. Non è che sia colpa loro. Semplicemente, sono uomini (grazie al cielo!). Hanno altre qualità. Cambiano lampadine, lavano la macchina, riparano elettrodomestici (a volte), e soprattutto uccidono i ragni che corrono sui muri di casa. Ad ognuno il suo. A noi donne viene meglio parlare, parlare, parlare. E ancora parlare. Per questo motivo, ogni qual volta mio marito ha provato ad offrirmi il suo punto di vista in merito a qualche storia o corteggiamento finito male (per colpa di lui), io l'ho spesso deriso. Se non addirittura insultato. Senza nemmeno ascoltarlo, a volte. Lotta di genere. 

In questi giorni in cui l'oceano ci divide ci è capitato di tornare per la medesima volta sull'argomento. Questo lo scenario, in breve: lui e lei si frequentano per qualche tempo, tutto sembra andare alla grande (secondo lei), finchè lui non si fa più sentire, sparisce, o peggio, dal nulla esce con una frase del tipo, "Meglio se non ci vediamo più, non vorrei che fraintendessi", o simili. Io ho sempre affrontato (e consigliato di affrontare) la questione di petto, scoprendo le carte in tavola ed esigendo una presa di posizione. Mio marito, invece, è di un'altra idea. Mi chiede, "Quante volte forzare la mano di lui ha portato ad un risultato positivo?" Pensandoci, la risposta è, mai. Continua, "Non è parlandone che uno si convince. Se i tempi non sono maturi, discurne non cambia nulla." Mi azzittisco per un attimo. "Che cosa vuoi dire?" chiedo. Aggiunge mio marito, "Una discussione è troppo veloce per i tempi del cuore." Ecco, è stato come un fulmine a ciel sereno. 

Quando mio marito, quattro anni fa, mi ha proposto di trasferirici in America, senza pensarci nemmeno un attimo ho risposto sì, contenta. Siamo partiti, e quello che è accaduto nei primi mesi, forse anni, non è quello che mi sarei aspettata. Ho faticato, pianto, rifiutato con tutta me stessa queste circostanze, questa vita. Non solo non la ho amata, la ho disprezzata, e odiata. E quante parole sono state spese da amici, conoscenti, sconusciuti, nei miei confronti, nel tentativo di forzare il mio cuore ad accettare ed affezionarmi a questo luogo e questa vita. Ma era inutile. Anche se volevo, non riuscivo, non ne ero capace. Il mio cuore sembrava non sapere come. Finchè un giorno all'improvviso mi sono accorta che tutto è cambiato. Meglio, io sono cambiata. Sono finalmente a casa. Il mio cuore ama di nuovo.

Dunque? Dunque occorre tempo, occorre tanta pazienza e tanta tenerezza, da parte nostra come da parte di coloro che ci sono accanto, perchè il nostro cuore finalmente ami quello che ha davanti perfettamente come desidereremmo fin da subito. Occorre non avere paura di quello che siamo o di come reagiamo, o di come ci muoviamo. Occorre ubbidire e piegarsi a quello che accade, scommentendo su quell'intuizione dell'inizio e il desiderio di bene che ci ha mosso allora, come ora. Il tempo sembra passare troppo lentamente, e nulla sembra cambiare. O accadere. E parlarne non accorcia i tempi. Un bel giorno, però, ci fermiamo a guardare, e ci accorgiamo che le cose accadono, e cambiano. Un bel giorno amiamo di nuovo, perfettamente, come più vogliamo, accompagnati da chi ci sta accanto e con noi scommette sul nostro cuore.


Dedicato alle mogli straordinarie che ho incontrato in questi anni di vita californiana.




mercoledì 15 gennaio 2014

Rosa Speranza

Sono mesi e mesi ormai che mi dedico al giardinaggio, in vaso per il momento, (eehhh.... al giardino ci pensa il giardiniere!) cercando di coltivare il basilico e il rosmarino. Lo so, lo so, mi hanno detto tutti che queste piante crescono da sole, che non c'è bisogno di curarle, e che praticamente è impossibile ucciderele. Tant'é, le mie sono morte tutte! Per cause naturali, povere piantine. O per malnutrizione? Maltrattamento? Mancaza di amore? Povera me! La scena, tra l'altro, si ripete sempre uguale. Compro la piantina (nel vaso), la metto in giardino di modo che prenda un po' di sole e la bagno regolarmente, le parlo, la incoraggio, “Vedrai, questa volta sarà diverso!" Ma dopo qualche settimana la piantina inizia intristirsi, cambia colore, fino a seccarsi. Muore. 

Perchè insistere allora? Evidentemente ho altri talenti. Ma il rosmarino! Nemmeno una piantina di rosmarino sopravvive in casa mia. Mi accorgo così che è diventata una sfida personale, una parabola che descrive questi ultimi anni. Come si dice che dicano in alcuni ambienti riabilitativi, il primo step è una piantina: se riesci a prendertene cura sei pronto per lo step successivo, un animale domestico. Se riesci a prenderti cura dell'animale, sei pronto per lo step finale: prenderti cura di un'altra persona. Ecco, sto cercando di provare a me stessa che sono pronta per il prossimo step (non letteralmente, non voglio un animale domestico!), e questi continui fallimenti non sono proprio la risposta che vorrei...

Delusa dalle piatine per la cucina, mi do ai fiori. Mia mamma, quando è venuta a trovarmi, ha riempito vasi di fiori e piante. Che sono tutti morti pochi mesi dopo la sua partenza. Ma sono rimasti i vasi. Ci vuole una pianta facile facile. Il ciclamino, penso. Quello rosso vive qualche settimana. Muore poi disidratato. Morte orribile. Quello bianco è più fortunato: resiste per qualche mese. Devo essere sulla strada buona. Decido così di rischiare: gerani rosa e pure un ciclamino rosa. Questa volta compro della terra buona, leggo bene le istruzioni, e sono fedele nella cura. Qualche mese dopo eccoli entrambi in fiore all'ingresso. Tutte le volte che esco o entro in casa e li intravedo, mi sale un sorriso alla bocca. Bellissimi. E soprattutto, ce l'ho fatta! Sono pronta per il prossimo step!

Arriva il momento di partire per le vacanze. Sono mesi ormai che i miei fiori rosa mi tengono compagnia rigolgiosi all'ingresso. Li sposto in giardino, dove verrano bagnati dal giardiniere durante la mia assenza. Torno dopo parecchie settimane e subito controllo il loro stato.  Il ciclamino vive (è davvero una pianta facile!), ma i gerani sembrano malati. Ne parlo subito con mia mamma, che conferma. Farfalline nere ovunque. Cosa faccio? Non ci sono insetticidi che funzionino in questo caso. Mia mamma mi suggerisce di tagliare via tutto, violentemente, sperando rifioriscano fra qualche mese. Ma potrebbe non accadere. Aiuto! Dopo tutta questa fatica, e illusione di aver fatto un passo avanti, mi viene un groppo alla gola quando, forbice in mano, condanno a morte i miei gerani. Ma sembra essere l'unica soluzione. E così taglio, taglio, taglio via tutto. Rimangono i gambi e poche foglie. Questa volta non ho fallito. Ho perso. Per quanto fossi pronta. 


Passano le settimane e non succede nulla. Io continuo a parlare coi miei gerani, porto loro acqua in abbondanza, e spero. Arriva il freddo, e anche le ultime foglie cadono. Natura spietata, penso. Per cosa mi sono impegnata dunque? È questa la legge della vita? È questo il fine? Cammino comunque verso la sconfitta? 

Sembra la parabola della lotta mia e di mio marito contro la malattia che mi impedisce di concepire. Bassi, poi alti, ma per sprofondare poi nell'abisso. Mi sento così stanca. Scoraggiata. Sconfitta. Al punto di non guardare nemmeno più i miei fiori quando entro ed esco di casa. 

Per questo motivo la sorpresa è ancora più grande quando un bel giorno mi accorgo che c'è del rosa: un piccolo fiore rosa sta iniziando ad aprire i suoi petali nel vaso all'ingresso, circondato da altri germogli pronti ad aprirsi al sole. Sono senza parole! Felice! Estatica! Mi fermo a contemplarli ogni giorno nella loro perfezione e voglia di vivere. Hanno vinto.

Sono solo fiori, è vero, ma in fondo sono molto di più: sono il colore e la forma della speranza. Non ho perso. Nonostante tutto, la vita ha vinto, germoglia e fiorisce. La natura risponde ad un Dio buono.





venerdì 10 gennaio 2014

Dov'è finito Margherita?

Ho lasciato la paffuta Margherita in un angolo del grande giardino dove è stata liberata, domandandomi se sarebbe stata bene in quel nuovo posto, dove vive libera, o se avrebbe rimpianto la sua piccola gabbia, dove è cresciuta e dove ogni giorno il suo padroncino andava a trovarla chiamandola per nome. 

I miei nipoti sono andati a trovarla, ma non sono riusciti ad avvicinarsi, a volte nemmeno a vederla. Corre e si nasconde, insieme agli altri conigli incontrati nel grande giardino. Sembra star bene, essersi fatta nuovi amici. Sembra anche aver dimenticato il suo nome. Forse, dopotutto, aveva ragione mio marito... Ma come può essere cambiata tanto?

Prima di trasferirmi in California ho sempre trovato piuttosto facile giudicare il cuore delle persone che mi stavano accanto, vicine o appena incontrate. Misurarne l'ampiezza e la profondità, la sincerità, il coraggio e le ferite. Senza margine di errore. Spesso queste misure si traducevano poi in una scala di valore: il suo cuore vale tanto, quello di lei, un po' meno. Il loro proprio poco. Punto e a capo. Ultima parola. 
Poi sono atterrata in America.
Dopo qualche mese passato a trovare la strada per uscire dalla nebbia inevitabile che un cambiamento così grande porta, ho iniziato a guardare. E mi sono accorta che forse vedevo male, non prestavo abbastanza attenzione. Vedevo un pezzo di cuore, e credevo invece che fosse tutto. Soprattutto vedevo ma non mi interessavo, non interrogavo sinceramente, non prendevo a cuore, appunto. 
Dunque? 
Dunque ho imparato che il cuore è smisurato, ricco, contraddittorio a volte; cambia e cresce, si allarga, abbraccia, dona, soffre, punisce. Ho imparato che è forse la cosa più amabile che mi venga continuamente offerta, qui, come ovunque vada. Ho imparato a non giudicarlo, di più, ad osservalo con benevolenza, ad essergli amica. E mi ritrovo così a tavola con persone a cui non avrei mai creduto di potermi interessare curiosa e contenta. 
Dunque ho imparato una parola nuova: appreciation.


Certo se avessi saputo la fatica che costa essere arrivata qui non so se sarei partita. Per fortuna la vita si svela piano piano. Così come il cuore. Anche quello della paffuta Margherita, così cambiato, o forse, semplicemente, svelatosi nel tempo!

sabato 3 agosto 2013

Libera Margherita

Mi trovo per qualche settimana in vacanza in Italia. Non posso non passare a salutare la bianca Margherita, il coniglio che dà il titolo a questo mio blog. La trovo piuttosto ingrassata, e impigrita dal caldo afoso. La sua gabbia piccola piccola la contiene a malapena. Non le impedisce però cercare un po' di coccole. Infila il musino fra le sbarre e aspetta paziente che la si accarezzi. A dir la verità, basta chiamarla da lontano, chicca, chicca, perchè si agiti nell'attesa. Come racconta la volpe a Il Piccolo Principe, la bianca Margherita ora conosce il rumore dei nostri passi.

Un giorno all'improvviso, però, scopriamo che Margherita potrebbe vivere in un campo grande, pieno di altri conigli selvatici, galli e galline, fuori dalla sua gabbietta che conosce come le sue tasche - se le avesse. Presi accordi col proprietario del campo, provvediamo al trasferimento. Libera Margherita. Appena la appoggiamo sull'erba inizia a saltare di quà e di là, corre, annusa. Dopo qualche minuto però si rifugia in un angolo, forse straniata da questa nuova dimensione. Si fa coccolare, esattamente come nella sua gabbietta, allungando il musino. Addio Margherita, è ora di salutarsi. Mio nipote, il padroncino, dice che verrà a trovarla tutti i giorni. Intanto Margherita, dal suo angolo, non si muove.

Racconto a mio marito quanto successo. Lui ne è contento. Ha sempre detto che quella gabbia era troppo piccola, povero coniglio. E io gli ho sempre risposto, "Ma cosa dici?! Margherita ha un padroncino che le porta da mangiare tutti i giorni, la coccola, la chiama per nome." Ora invece corre nel campo. Dovrebbe. Speriamo che abbia iniziato! Ma preferirà questa nuova solitaria libertà alla gabbietta di cui conosceva ogni angolo, alla vita da coniglio addomesticato, al suo nome urlato dai bimbi, alle coccole di tante persone? Mio marito non ha dubbi, certo che preferisce essere libera. 

Fuor di merafora, la vicenda di Margherita tocca in me corde profonde. Ho vissuto i miei primi trent'anni in uno spazio piccolo, che conosco come le mie tasche. Ho costruito sicura in quello spazio, diventando quello che ero. Ho vissuto in mezzo a gente che preferisce il conosciuto e si fida del conosciuto. Non mi sono mai sentita in gabbia. Al contrario, ho amato ogni angolo di quella vita e ogni suo rito. Ho amato sentirmi chiamare per nome. Poi, un giorno, sono partita. Ho lasciato lo spazio piccolo piccolo che conosco per assaporare una nuova dimensione. Ho lasciato il conosciuto e ho poggiato i piedi su una terra nuova e ho visto, e continuamente vedo, cose nuove. Come la bianca Margherita. Ma non è stato facile. O meglio, è difficile. Lo spazio ora è troppo grande perchè possa conoscerlo come le mie tasche, e i riti cambiano di mese in mese - come ad esempio una decina di lavori in poco più di due anni. Lo stesso vale per mio marito, ad eccezione dei riti. Lui di lavori ne ha cambiati solo 2. Ma preferiremo questa dura libertà allo spazio piccolo piccolo dove siamo cresciuti, che conoscevamo come le nostre tasche, e dove venivamo chiamati per nome? Mio marito non ha dubbi.




lunedì 22 aprile 2013

La terra dei granchi

Dopo quasi tre anni nella soleggiata Bay Area - soleggiata qualche mese all'anno, per essere onesti - ho finalmente raggiunto una nuova certezza: ho il dono della scrittura! Modestamente. In fondo in due anni ho pubblicato un totale di 9 posts in ben due blog di scarso successo, scritto 4 racconti che nessuno ha pubblicato, e qualche nota sul mio profilo FB.... Armata di questa nuova consapevolezza, prendo una nuova importante decisione: è arrivato il momento di fare della scrittura il mio lavoro! O un tentativo di lavoro. O anche solo parte del mio lavoro...

Piena di verdi speranze e un po' di sana ingenuità applico, e applico, e applico, finché un bel giorno, inaspettatamente, ottengo una risposta: un'agenzia di marketing è interessata ad offrirmi un contratto da web content writer per un loro cliente. Un progetto piccolo, poche ore, ma a lunga durata: insomma, l'inizio necessario per una carriera che si potrà poi muovere con più facilità. Evviva, evviva! Sono assolutamente estasiata! Finalmente un segnale positivo nel mezzo di tanta confusione e, spesso, scoraggiamento. Mi metto immediatamente in contatto con l'agenzia che mi chiede un sample, un piccolo esempio delle mie capacità da creative writer. Il contenuto non è particolarmente interessante, ma la gavetta posso farla senza troppi problemi. Devo scrivere il profilo di una ragazza per un sito dove si cerca l'anima gemella. Si tratta di poco più di 100 parole, un testo molto breve, ma una volta scritto spendo molto tempo in quel labor limae che definisce il grande scrittore. Forse esagero... in fondo sono sempre le solite cose... ma voglio che sia perfetto!

Una volta mandato il mio piccolo testo, inizia l'attesa. E se non gli piace come scrivo? E se ho fatto qualche errore di battitura? E se il tono non è appropriato? Così consumo 3 giorni in attesa, in mezzo a domande e dubbi. Ma finalmente arriva la risposta! Il mio testo sembra essergli piaciuto, mi stanno offrendo il contratto! La mail descrittiva è lunghissima, e così, in preda all'entusiasmo, la leggo molto velocemente. Le ore settimanali di lavoro e la paga sono perfetti. Posso lavorare da casa, perfetto. E i contenuti già li conosco. Non ci posso credere al colpo di fortuna che ho avuto! E così, gongolando, arrivo all'ultimo paragrafo, dove una frase mi coglie alla sprovvista: viene menzionato del materiale grafico esplicito. Eh? Forse è meglio che ne parli con mio marito prima di confermare il mio interesse. Così gli inoltro la email. Non passa nemmeno un minuto che mi risponde, Ma l'hai letta la mail? Beh, effettivamente l'ho solo scorsa molto frettolosamente.... Forse conviene rileggerla... Ed è proprio nelle prime righe che l'agenzia specifica che il sito web per cui dovrei scrivere è un sito per adulti! Ooohhh! Ma come? No, no no! Uffff.... 


E così, col grosso granchio preso che ancora mi pizzica le dita , mi metto di nuovo al computer, Gentile Rosa, La ringrazio per la proposta .... Il mio brillante futuro da scrittrice, a quanto pare, dovrà ancora attendere... Da oggi, però, sicuramente leggerò per intero le email di lavoro che mi arrivano!

lunedì 1 aprile 2013

Inno a colui che "viene da Marte" (Cit. J. Gray)


Bip. Bip. Bip. Silenzio. Bip. Bip. Bip. Ancora silenzio. Ci vuole un attimo prima che mi renda conto che e' l'allarme per il monossido di carbonio che sta suonando nel mezzo della notte. Aiuto! Mio marito, di fianco a me, non reagisce. "Jack... Jack... Svegliati! Vai a vedere cosa succede!" Dopo qualche mugugno incomprensibile si alza, e va. Io me ne rimango sotto le coperte, in attesa. L'allarme suona, poi smette, poi suona, poi smette di nuovo. Mio marito ritorna. "Fatto," dice. "Fatto che?" domando io. "Credo fosse per il camino. Avevo chiuso la cappa... Comunque a posto adesso, ho tolto le pile all'allarme!"
Attimo di silenzio.
"COME HAI TOLTO LE PILE!?!?!?"
Senza bisogno di dire null'altro, mio marito torna indietro.
"Dove sono le istruzioni?" grida dalla cucina. "Nel mobile sotto il telefono!" rispondo io dal letto, sempre al caldo sotto le coperte. Questo scambio di battute si ripete identico per 4 volte. Alla fine credo che rinunci.
Intanto il bip ha ripreso, forte come prima. I minuti passano, non succede nulla. Sconfitta, mi alzo. In cucina la temperatura e' polare, essendo porte e finestre aperte. Mio marito non si vede. Apro l'armadio sotto il telefono e prendo le istruzioni. Esco in giardino, e le consegno a mio marito. "Ah, grazie. Dov'erano?" mi chiede. "Nell'armadio sotto il telefono," rispondo io. "Ah... ma non c'erano prima..." aggiunge.
Apre le instruzioni, inizia a leggere. Rimaniamo in giardino. Ha tolto l'allarme dal muro, e lo ha appoggiato sul tavolo fuori, cosi' almeno non suona piu'. In ordine: entra e apre la cappa del camino, ma l'allarme, una volta riagganciato al muro, suona ancora; cambia le pile, idem; testa l'allarme, idem. Alla fine decide di resettare l'allarme. E questo smette di suonare. Vittoria!
Finalmente torniamo a letto, congelati, un po' storditi. Ma mio marito pero' rimani in piedi, di fianco al letto. Dopo qualche minuto gli chiedo che cosa stia mai facendo li', in piedi, immobile, invece che mettersi a dormire. "Beh, ho portato l'allarme di qui, per controllare che non cia sia monossido di carbonio in stanza..." 
Ecco... o niente... o troppo!